
Il fabbricato, divenuto Baita Verde da 2010, è stato costruito a metà del 1800 insieme ad altri che si trovano ancora oggi nell’area di Campo all’Orzo.
Tali fabbricati erano abitati da contadini dediti alla coltivazione di cereali e patate, all’allevamento di vacche e maiali, alla pastorizia e alla selvicoltura.
L’ attuale Baita Verde veniva anche usata come alpeggio e rimessaggio, importanti per l’economia rurale locale.
Un censimento effettuato tra le due Guerre Mondiali rilevava circa 300 persone che
lavoravano e vivevano a Campo all’Orzo.
I prodotti della terra, della pastorizia, delle lavorazioni e l’allevamento dei maiali alimentavano i mercati della piana camaiorese.
Nel 1910 con l’accordo della Curia di Lucca venne costruita la Chiesina dedicata a Sant’Antonio Abate, patrono degli animali, che veniva celebrato con una festa annuale ed una festa solenne triennale.
Nella sacrestia della Chiesina, oggi sconsacrata e divenuta un rudere, venivano ospitati giovani preti inviati per gli esercizi spirituali.
Fino agli anni ’50, durante le domeniche gli abitanti locali si radunavano intorno all’attuale Baita Verde per ballare.
Alla fine di questi anni l’area di Campo all’Orzo è stata interessata dallo spopolamento degli abitanti che sono andati a lavorare in pianura, nelle fabbriche locali o come contadini in terreni altrui o di proprietà.
Dagli anni’60 in poi la struttura ha vissuto l’abbandono completo fino a diventare un rudere con la vegetazione cresciuta all’interno.
L’acquisto del fabbricato e dei terreni circostanti da parte del Comune di Camaiore, la concessione d’uso
all’Associazione Campallorzo ODV, dal 2008 la Baita Verde è divenuta nel tempo un
punto di riferimento per numerosi escursionisti che si fermano per trovare ristoro durante le loro lunghe camminate.
APPUNTI STORICI SU CAMPALLORZO
1. LE PRIME CASE PER GLI ALPEGGI NELL’ESTIMO DEL 1604
Le comunità che si svilupparono nel territorio più elevato di Casoli, avevano una natura essenzialmente pastorale e sporadicamente agricola da determinare uno sviluppo spontaneo degli insediamenti che, privi di particolari esigenze strategiche ed urbanistiche, crebbero in diretta continuità con l’ambiente circostante, dando origine a forme irregolari o comunque aperte
verso il territorio, e spesso con case sparse lungo i sentieri. Dal punto di vista strutturale e architettonico questi piccoli insediamenti erano caratterizzati da una forte elementarità, costituiti a volte da case di pendio, costruite con pietre rozzamente squadrate e con l’uso frequente di muri in comune. Alle abitazioni erano solitamente collegati un insieme di costruzioni minori come stalle, seccherecci, fienili e magazzini, un tempo indispensabili allo svolgimento delle attività rurali.
Il momento decisivo per la nascita di queste abitazioni ad uso alpeggio è all’inizio del XVII secolo.
Nell’estimo di Casoli dell’anno 1604, troviamo non solo la descrizione delle terre ma anche di cinque case a Campo all’Orzo, più due casalini, uno dei quali distrutto. Se si esclude Campo all’Orzo con evidente richiamo alla coltivazione dell’orzo, gli altri toponimi, intorno a Casoli erano legati alle condizioni orografiche. Le Borrelle è un toponimo riferibile ad una borra il cui significato è legato alla morfologia del terreno, cioè avvallamento a forma di imbuto. Lecceto ci indica la presenza di piante di leccio, Acqua chiara è ovvio indicatore della presenza dell’acqua ed infatti vi si trova una sorgente di acqua buonissima.
Mentre Corogno, che ci mostra la sua antichità per una probabile origine dal latino Coronius, potrebbe far pensare al nome di un benestante romano, possessore di un saltus(terreno tenuto a bosco o a pascolo) in questa area.
Le cinque case a Campo all’Orzo sono descritte con i relativi proprietari:
- Giannino di Pardino, casa murata a ronco
- Domenico i Santi Moriconi, ronco e casa murata e coperta a piastre e capanna
- Battista Pardini, ronco e casa murata coperta a piastre
- Domenico di Jacopo Marchetti, ronco e casalino distrutto
- Giò di Pardino e Marco di Andrea Pardini, aia e corte per indiviso accanto alla casa al Campo dell’Orzo
- Jacopo di Marco Pardini ronco e casa murata
Le altre case poste nei dintorni di Campo all’Orzo le troviamo:
- 4 alle Borelle
- 6 in località Lecceto o Acqua Chiara
- 10 a Corogno
- 3 a Col di Precchia
2. CAMPALLORZO NEL SECOLO XIX
Dobbiamo attendere gli inizi del 1800 per vedere il consolidarsi di un migliore sfruttamento della montagna camaiorese, dovuto senza dubbio all’incremento demografico di Casoli, importante propulsore delle attività agricole e pastoraliche si evidenziano nelle varie località intorno, compreso Campo all’Orzo.
In quest’area sono presenti aree boschive, ma data l’altitudine rende possibile la produzione di ridotte quantità di farina di castagne, mentre prevale nettamente la produzione di grano che in totale all’epoca era censito per una quantità di 253 staia corrispondente a circa 50 quintali.
Il quantitativo di grano prodotto era comunque discreto se rapportato agli spazi utili per la semina di cereali, molto ridotti per la morfologia di un terreno non particolarmente adatto. Nel censimento del 1808 non abbiamo notizie precise su quella che era l’attività prevalente di questa zona montana del Comune di Camaiore. Si può dire che la pastorizia fu sicuramente la risorsa
primaria. Le produzioni di prodotti vari ammontavano per località:
- Campo all’Orzo 80 staia;
- Borrelle 66 staia;
- Acqua Chiara 18 staia;
- Lecceto 40 staia;
- Corogno 49 staia oltre a 6 staia di farina di castagne.
Le aree boschive intorno servivano per la produzione del legname e del carbone.
3. CAMPALLORZO AGLI INIZI DEL NOVECENTO
Campo all’Orzo iniziò ad essere abitato all’inizio del 1900 e dal censimento del 1910 – 1911 il numero degli abitanti risultava essere esiguo. In tutto si elencano 12 famiglie ma nessuna abitava a Campo all’Orzo dove ancora le case esistenti continuarono a servire per gli alpeggi durante i periodi di transumanza.
Nelle aree intorno a Campo all’Orzo, a Corogno e Lecceto risultavano abitare cinque famiglie che vi risiedevano in modo continuo, una famiglia in località Canale e al Colle e quattro in Acqua Chiara per un totale di 63 abitanti. In merito alle attività lavorative di questi primi abitanti si hanno chiari indizi per la presenza di strutture non abitative vale a dire capanne coperte a strame,
affiancate alle case di abitazione che in tutto assommano a 33, i fienili sono 4 e tutti a Corogno, 3 legnaie, un casello per il latte e un essiccatoio per le castagne.
A Campo all’Orzo viene censita anche una Chiesa con annesso l’Oratorio di S. Antonio che apparteneva alla Parrocchia di Casoli, fatta costruire dall’Arcivescovo di Lucca.
La chiesa fu costruita per soddisfare i bisogni religiosi degli abitanti della comunità che si era formata e ricordata a partire dal 1909 per l’organizzazione delle prime feste in onore di Sant’Antonio Abate, celebrate nel mese di Luglio con una processione.
4. LA NASCITA DELLA COMUNITÀ DI CAMPALLORZO
La presenza stabile di una piccola comunità a Campo all’Orzo risale intorno ai primi del novecento e con il censimento del 1936 si riscontrano quattro famiglie stabilmente residenti e l’Oratorio:
n. civico 197 Capo famiglia: Pardini Giovanni Angelo 7 componenti.
n. civico 198 Capo Famiglia: Marchetti Giovanni Enrico 3 componenti
n. civico 199 Capo Famiglia: Domenici Giovanni 7 componenti
n. civico 200 Capo Famiglia: Cappelli Narciso 7 componenti
Oratorio S. Antonio Abate
Nelle altre località intorno a Campallorzo:
Giomo
n. civico 196 Capo Famiglia: Pardini Micheli 6 componenti
Alle Capanne
n. civico 195 Capo Famigla: Pardini Leonildo 7 componeti
Acqua Chiara
n. civico 192 Capo Famiglia: Giannecchini Sante 7 componenti
n. civico 193 Capo Famiglia: Giannecchini Alemanno 6 componenti
n. civico 194 Abitazione vuota
Lecceto
n. civico 203 Abitazione vuota e stalla
n. civico 204 Capo Famiglia: Pardini Ermanno 6 componenti
n. civico 205 Capo Famiglia: Pardini Severino 6 componenti
n. civico 206 Abitazione vuota
n. civico 207 Capo Famiglia: Benassi Geremia 5 componenti
n. civico 208 Capo Famiglia: Pardini Daniele 4 componenti
n. civico 209 Capo Famiglia: Pardini Angelo 6 componenti
n. civico 210 Capo Famiglia: Giannecchini Angelo 5 componenti
Corogno
n. civico 212 Abitazione vuota
n. civico 213 Capo Famiglia: Marchetti Jacopo 3 componenti
n. civico 214 Capo Famiglia: Giannecchini Luigi 6 componenti
n. civico 215 Capo Famiglia: Marchetti Pietro 5 componenti
n. civico 216 Capo Famiglia: Pardini Mario 4 componenti
n. civico 217 Capo Famiglia: Pardini Giovanni 2 componenti
n. civico 218 Capo Famiglia: Pardini Domenico 4 componenti
In questa località sono censite anche cinque stalle.
Le attività elencate per le famiglie residenti erano legate tutte alla pastorizia, lavorazione del latte per produrre formaggi e ricotte oltre all’allevamento di animali da macello. Il numero delle case dove si effettuava la lavorazione del latte risultava essere il seguente:
Acqua Chiara 1
Giomo 2
Campo all’Orzo 1
Lecceto 4
Corogno 6
5. INFORMAZIONI SULLA VITA QUOTIDIANA
I bambini di Campo all’Orzo e dintorni riuscivano a frequentare la scuola elementare di Ritrogoli a poco più di una ventina di minuti da casa. Più complicato era andare a prendere l’acqua, soprattutto in considerazione che ne occorreva una grande quantità sia per gli uomini che per il bestiame.
Bisognava andare almeno sette volte al giorno, alla fontana di Acqua Chiara(ora scomparsa nel canale), presso l’attuale presa dell’Enel.
Oltre alle greggi c’erano le mucche che dovevano essere condotte al pascolo nel comunale al “Felciagli” mentre per le pecore si preferiva il “Baccareggio”, dove si trova la sorgente, ai piedi del monte Prana. Si lavorava da mattina a sera e la giornata era scandita dalla luce del sole.
Le produzioni non sempre erano scarse e ad esempio una famiglia riusciva a produrre anche 14 Kg di burro alla settimana. Anche il grano aveva una resa accettabile e le ottime quantità di patate supportavano l’alimentazione fino a raggiungere l’autosufficienza.
Spesso le eccedenze venivano vendute e ciò permetteva di acquistare merce giù a Camaiore.
L’alimentazione era genuina utilizzando i prodotti del luogo, dalla polenta di neccio che a volte veniva impreziosita con un’po’ di formaggio “briolone”(latte accagliato che restava nei catini) grattugiato.
Non mancavano i necci, il minestrone, la pasta di pane fritta, patate lesse con i fagioli metatini, i cavoli, le cipolle e il porro unto, polenta di granoturco con la quale si preparavano i matuffi.
Il pane veniva cotto a legna perché i forni non mancavano. I tempi delle semine erano precisi ma diversi da quelli della pianura per il clima più rigido: le patate agli ultimi di marzo o i primi di aprile, in agosto si mieteva il grano seminato ad ottobre e il cui raccolto doveva essere portato a
spalla nei molini del “Fiume” percorrendo alcuni chilometri di mulattiera. Il grano, una volta trasformato in farina, quest’ultima veniva riportata a Campo all’Orzo, salendo su dalla Scala Santa o Scorciagliola con gran fatica.
Col grano si faceva il caffè, dopo essere stato abbrustolito e macinato nei macinini. Si seminava la segale che serviva come mangime per le mucche, anche l’orzo, se pur prodotto in piccole quantità diventava caffè più pregiato per le occasioni speciali. Non mancava la carne garantita dai vitelli e gli agnelli, la cui macellazione veniva effettuata a Gombitelli presso Cerù.
Veniva prodotto anche il carbone con le carbonaie, attività in cui i casolini eccellevano.
Nell’ottocento furono molti i casolini che si trasferirono, alcuni temporaneamente altri in maniera definitiva in Corsica.
La presenza di cognomi come Pardini e Moriconi in Corsica lo stanno a dimostrare.
6. IL CULTO DI S. ANTONIO ABATE E LA SUA FESTA NELLA CHIESA DI CAMPALLORZO
Gli abitanti di Campo all’Orzo sono sempre stati molto devoti a Sant’Antonio Abate. Questo particolare affetto non a caso era giustificato dal fatto che in un ambiente rurale, quale era Campo all’Orzo, tutti erano occupati in agricoltura e quindi tutti avevano a che fare con gli animali. Fin dai primi del ‘900 fino agli anni ’50 la seconda domenica di luglio si svolgevano i festeggiamenti in onere di Sant’Antonio Abate.
I preparativi della festa cominciavano parecchio tempo prima, quando i festaioli, passavano di casa in casa per raccogliere offerte al fine di poter organizzare il giorno festivo.
Per l’occasione veniva scritto un sonetto con dedica alle famiglie che avevano dato un contributo e donato a queste in segno di ringraziamento.
Il giorno di festa era molto atteso giacché rappresentava una delle poche occasioni in cui veniva celebrata la santa messa alla chiesina di Campo all’Orzo.
Alcuni giorni prima venivano costruite baracche intorno alla chiesina da parte di alcuni bottegai casolini per la vendita di vino, torte e gelato. Le donne di Lecceto preparavano le corone di camuciolo per adornare lastatua del santo, mentre a Campo all’Orzo venivano raccolte le profumate rose selvatiche e i gigli di Sant’Antonio, gigli selvatici arancioni utilizzati per
decorare l’altare della chiesina e fino a quei giorni accuratamente protetti dagli animali e dai lavori svolti nei campi.
Tutto aveva inizio al mattino presto quando le genti, vestite a festa, partivano a piedi da Casoli, Pescaglia, Pascoso, Metato per raggiungere Campo all’Orzo ed i suoi abitanti e partecipare tutti insieme alla Santa Messa, celebrata in forma solenne, cantata dai cantori accompagnati dall’armonium di legno, portato per l’occasione a spalla fino alla chiesina da Casoli.
Terminata la messa, seguiva il pranzo nella canonica della chiesina per la banda di Casoli. I cantori, i campallorzini mangiavano nelle loro abitazioni, tutti gli altri si sistemavano fra i campi.
Davanti alla chiesina iniziavano i canti dei vespri e a seguire partiva la processione con la statua del Santo portato fino alla margina di San Vincenzo.
Raggiunta nuovamente la chiesina, i partecipanti venivano poi intrattenuti dai canti del maggio fino a tarda ora.
Ogni tre anni la processione raggiungeva anche la margina di Sant’Antonio, mentre la benedizione degli animali veniva fatta, come di tradizione, il 17 gennaio, giorno in cui cade la ricorrenza del santo.
Il parroco di Casoli per l’occasione si recava su queste alture e passando di casa in casa, meglio di stalla in stalla, benediva queste insieme agli animali. La festa di Sant’Antonio è andata avanti fino al 1953 è poi è stata interrotta per l’abbandono delle case da parte degli abitanti che sono scesi al piano. Dal 2009 l’Associazione Campallorzo ODV ha ripreso i festeggiamenti per
Sant’Antonio che si svolgono la prima domenica del mese di luglio.
7. LA EVA, L’ULTIMA ABITANTE DI CAMPALLORZO
Campo all’Orzo conserva molti segreti e ricordi di genti ormai scomparse, ma tutt’oggi può ancora godere del ricordo di una speciale e caratteristica persona, tuttora vivente: Eva Domenici che è stata fino a pochi anni fa l’ultima abitante di questa alpestre altura.
Icona di un passato, di quelle tradizioni contadine che sembrano così tanto lontane da noi ma che invece grazie a lei tornano alla mente e ci riportano almeno per un istante a quei tempi.
Molti di noi la conoscono, tanti l’hanno incontrata, passando per caso da Campo all’Orzo, tanti ne hanno sentito parlare.
Poter raccontare e scrivere di questa donna rimane difficile perché qualsiasi parola anche la più ricercata si può avvicinare solo marginalmente a ciò che veramente è stata; capire poi l’intima essenza di questa adorata “Bestiolina Selvatica” (come si definisce lei) è davvero tutt’altra cosa ancora ed impresa assai più ardua.
Ha abitato lassù da sola con i suoi due cani, Andra e Diana, con il suo piccolo gregge di pecore e qualche gallina.
Nata nel 1933, ogni giorno si levava di buon ora e fatta una ricca colazione a base di migliecci o frittata, custodiva la sua “famiglia”. Munte le pecore e portate al pascolo, cominciava a lavorare il latte per preparare le sue deliziose formine in compagnia di Radio Maria, poi provvedeva a riassettare la casa e di seguito la stalla.
Riempite le greppie con le migliori erbe all’uopo raccolte, un piccolo merendino e poi nei campi.
A seconda dei periodi dell’anno le cose da fare erano diverse. Il maggior lavoro si concentrava nel periodo primavera-estate. Una volta arati, concimati e solcati i campi, fatto tutto rigorosamente con zappa, si dedicava alla coltura delle patate e di altre verdure. La giornata era ancora molto lunga e tante le cose da fare come tagliare l’erba, raccogliere il fieno, preparare i covoni, fare scorta di legname per l’inverno e tenere d’occhio le pecore al pascolo.
Altro appuntamento quotidiano al quale Eva non mancava mai era, come da buona cattolica la preghiera come la Santa Messa ascoltata alla radio.
Questa speciale donna insieme alla sua famiglia non ha potuto fare a meno di stare a Campo all’Orzo e nemmeno Campo all’Orzo ha potuto fare a meno di loro.
Rimasta sola, la sua innata libertà che l’ha caratterizzata, fin dalla nascita, il radicamento a queste amate terre ha voluto che rimanesse a Campo all’Orzo come ultima abitante.